Blog Signori degli Orologi

Le Nostre Interviste: Giulio Papi.

 

Giulio Papi nasce in Svizzera, a La Chaux-de-Fods nel 1965, da genitori Italiani.
Il suo sogno era quello di costruire motori da corsa per la Formula uno, ma la ragione gli ha suggerito di optare per una carriera in orologeria. Il suo ingresso all’Audemars Piguet, è dovuto ad una scheletratura di un movimento che egli aveva eseguito per il puro divertimento.
E’ qui che Papi incontra Dominique Renaud, un altro orologiaio di talento. Nel 1986 fondono la “Renaud & Papi” a La Chaux-de-Fonds.
Negli anni seguenti costruisce calibri e tourbillon per IWC, Lemania, Audemars Piguet, Franck Muller.
Tra il 90 e il 92 l’azienda si trasferisce a Le Locle, costruendo nuovi stabilimenti di produzione e Papi diventa direttore unico.
La Renaud & Papi cresce e porta in catalogo calendari perpetui, cronografi rattrappenti e qualsiasi tipo di complicazione un appassionato di orologeria possa desiderare.
Nel 1992 debutta il tourbillon volante. Nello stesso anno la Audemars Piguer rileva una quota di maggioranza del’ azienda.
Oggi la produzione conta oltre 600 movimenti all’anno.

 

L’abbiamo intervistato.

– Quanto contano la ricerca e lo sviluppo per la vostra azienda?
Dal 1986, dall’inizio dell’avventura della Renaud & Papi, abbiamo sempre lavorato su due campi di ricerca, quello dei nuovi meccanismi e quello tecnologico, cioè di come fabbricare i nuovi meccanismi. Si può avere delle grandi idee, ma se è troppo difficile o addirittura impossibile realizzarle non è una così grande idea.
Senza la ricerca e lo sviluppo, la Renaud & Papi sarebbe un’azienda di componentistica qualsiasi.

 

– Qual è il pezzo che meglio riflette lo spirito di Giulio Papi?
Difficile dirlo perché a me piace il classico, il vintage ma anche il moderno e il retro moderno. Mi piace prendere le soluzioni tecniche esistenti aggiungendo piccole migliorie e mi piace rompere con le tradizioni con soluzioni tecniche innovative. Potrei citare il modello di Audemars Piguet tradition d’excellence n° 5, un modello retro moderno con visuale tridimensionale e con un scappamento innovativo. Oppure, il grande sonnerie sempre della AP, un vero laboratorio di micro meccanica.
Sono molto fiero del successo dei modelli di Richard Mille che ha rotto con la tradizione dell’alta gamma. Credo che ogni orologio che ho creato ha qualcosa di diverso da raccontare.

– Qual è la più grande sfida che dovrà affrontare nei prossimi anni?
I grandi gruppi orologiai hanno investito grosse somme di denaro per la progettazione e la fabbricazione interna di orologi complicati. Ciò significa che avranno sempre meno bisogno di noi, non ha senso spendere il doppio dei soldi. Per non licenziare dobbiamo mantenere il nostro fatturato e quindi dobbiamo brevettare il più possibile. Infatti, se siamo titolari esclusivi di diversi saper fare, i brand dovranno passare da noi.
– Quando è nata la passione per gli orologi?
Nel 1980 quando iniziai la scuola tecnica ero l’unico studente di orologeria in quella classe e per quattro anni ero al centro dell’attenzione dei miei professori. Devo dire che a l’inizio non ero così convinto di imparare quel mestiere, ma uno dei miei maestri, Jean-Claude Nicolet, mi trasmise il virus del mestiere. Quel maestro corrisponde al mastro orologiaio dell’immaginario collettivo, sapeva fare tutto, dalla progettazione fino al l’orologio finito, cassa e lancette incluse. Ho avuto molta fortuna nell’averlo come maestro, aveva molto tempo per insegnarmi il mestiere.
Finii la scuola tecnica nel 1984 e naturalmente, dopo un tirocinio di quel livello, avevo voglia di lavorare nei complicati e così andai a lavorare dalla Audemars Piguet. Per 18 mesi feci dei scheletrici e imparai tutti i segreti delle rifiniture e decorazioni, ma quando chiesi alle risorse umane se potevo iniziare sui complicati, la risposta fu molto lapidaria “forse, dopo vent’anni di esperienza”. La risposta era identica in tutti gli altri marchi, quindi l’unica soluzione era di farli noi stessi mettendoci in proprio. Nel febbraio 1986 io e il mio compagno di banco, Dominique Renaud, decidemmo di lasciare AP e di ritornare a La Chaux-de-Fonds e fondammo la Renaud & Papi.

– In cosa la vostra orologeria si differenzia dagli altri?
Non lo so di preciso, ma il mio motto è ” prima di rompere i codici devi essere maestro del classico”.

– Anche nel vostro settore si avverte la crisi? E nel caso, come la state affrontando?
La crisi la vediamo passare eccome. I negozi fanno gli ordini con tre mesi di ritardo e questo ci crea molti problemi con l’indotto per cercare di consegnare nei tempi, poi la vita del prodotto è scesa da 10 a 3 anni, questo significa che dobbiamo spendere ancora più soldi nella ricerca e sviluppo.

– Ha una sua collezione personale? E se si, privilegia pezzi d’epoca o nuovi?
È una cosa strana, ma lavorare nell’interno del meccanismo e la collezione degli orologi non è la stessa cosa. Non sono un collezionista, ma un amatore incondizionato della tecnica.

– Ci può raccontare qualcosa di particolare che le è accaduto con un orologio, un aneddoto?
Ne ho così tanti da raccontare, forse in un’altra intervista.

– Ha dei consigli da dare a chi si avvicina a questo mondo?
Ascolta il tuo cuore e fatti piacere.

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